The 3rd Industrial Revolution
Futuro e memoria del Design
Crisi profonde e trasformazioni rapide, a volte indecifrabili, minacciano da anni quel poco di solidità che siamo riusciti a raggiungere nel lavoro, nella famiglia, nella vita sociale. Tutto è fluido e incontrollabile, come i flussi migratori o le instabilità finanziarie che si riversano sulle popolazioni dei Paesi sviluppati, trasformando in fasce deboli quelle che un tempo vivevano con la garanzia di un tenore di vita medio alto. La conseguenza di questa condizione umana, senza il supporto dei grandi paradigmi, delle ideologie, delle religioni, e delle comunità, spinge gli individui più creativi a rimodulare le proprie esistenze per darsi nuovi stili di vita e ricercare inediti spazi di manovra, nelle pieghe di un mondo che dimostra di essere più vasto e flessibile di quel che si possa pensare. Le spinte verso l’innovazione tecnologica assumono perciò il valore di una energica reazione al logorio di una civiltà complessa, al suo sgretolamento e annientamento, non già per un impossibile tentativo di salvataggio, ma per attivare benefici processi trasformativi che diano vita al “nuovo”. Con l’espressione Rivoluzione Industriale, forse possiamo indicare proprio questo radicale cambiamento di rotta, tuttora in atto. «Quello di cui abbiamo bisogno […]», dice Jeremy Rifkin, «[…] è una terza rivoluzione industriale basata su digitalizzazione delle comunicazioni, digitalizzazione dell’energia, digitalizzazione di mobilità e logistica». In quale delle rivoluzioni industriali, però, ci troviamo? Nella terza, come sostiene Rifkin, o agli albori della quarta, come sostiene Klaus Schwab, l’ideatore e animatore del Forum Economico di Davos?
La collana THE 3RD INDUSTRIAL REVOLUTION. Futuro e memoria del Design vuole indagare il Design, autentico protagonista di questa era di cambiamenti. Uno sguardo attento su quello che sta avvenendo al suo interno aiuta a capire meglio il nostro tempo. Il fenomeno dei makers, ad esempio, non spiega soltanto come la genesi di un prodotto e la sua commercializzazione siano possibili grazie all’innovazione tecnologica, low cost. L’uso del computer per progettare, condividere processi, notizie e informazioni, il mettere in rete le proprie idee, farsele finanziare attraverso piattaforme di crowfunding e stamparle in 3D, ha avviato un processo di inaspettate conseguenze che riguardano l’economia, il lavoro e la sua organizzazione, il concetto di fabbrica, aspetti più strettamente culturali, come l’alleanza tra tecnologia e artigianato, o giuridici, come quelli che riguardano la protezione delle idee, una questione, questa, che sembra sempre più appartenere al passato.
Con la Fabbrica 4.0 e lo Smart Manufacturing – che rappresenterebbero la sintesi di una possibile quarta rivoluzione industriale – e la crescente integrazione di “sistemi cyber-fisici” nei processi industriali, le industrie manifatturiere cercano di diventare più competitive, introducendo cioè l’innovazione digitale nei processi dell’industria e investendo così sull’Internet of Things, Big Data e Cloud computing, sistemi di produzione automatizzati, dispositivi wearable e nuove interfacce uomo/macchina o stampa 3D. Nuovi materiali, nuovi modalità di disegnare prodotti, nuovi processi produttivi, nuova logistica, nuovo marketing, nuovi modelli di business, nuove catene del valore e di fornitura, nuove applicazioni IT, nuovi modi di produrre, stoccare ed utilizzare energia, nuovi modi di lavorare ed interagire e, conseguentemente nuovi standard e regole, stanno rivoluzionando il modo di “fare” impresa, puntando sempre più alla totale ubiquità del governo della produzione, e di “fare” design.
Avere fiducia nel nuovo, però, non deve significare proiettarsi con slancio giovanilista e cieco in un futuro senza radici. Inoltre, i cambiamenti prodotti dall’innovazione tecnologica, per la rapidità con cui si manifestano, non potrebbero mai essere analizzati in tempo reale in una collana scientifica perché i tempi di un libro sono ben diversi da quelli di un magazine. Perciò, la finalità di questa nuova iniziativa editoriale, pur non rinunciando ad occuparsi – criticamente – del nuovo con il massimo di tempestività, consisterà soprattutto nell’andarlo a studiare nelle sue relazioni con l’esistente, e vedere come una rivoluzione industriale, terza o quarta che sia, non spazzi del tutto via forme consolidate del fare design, fare impresa e promuoverla (come i musei aziendali), ma anzi inneschi possibili dinamiche virtuose che continuano a renderle significative nel loro sforzo di essere nel mondo, senza cancellare la propria singolarità. Uno dei temi della collana sarà studiare come in questa era di profondi cambiamenti l’artigianato, che sembrava appartenere ad un romantico passato, sia una delle possibili componenti del nuovo design; un artigianato che, perdendo la sua storica autosufficienza, possa aprirsi alla Cultura del progetto e trasformarsi nel “Design dei Territori”, che qui in Italia si chiama HandMade in Italy.
(Claudio Gambardella)
Handmade in Italy
Corporate Museum
Una storia di corallo: il Museo Ascione
(a cura di)