
Paesaggi delle vulnerabilità
Silvia Serreli
Se dal titolo, di francescana memoria, si evince che l’Autore mira a collocarsi al di fuori della canonica pubblicistica universitaria, il sottotitolo, che fa viceversa diretto riferimento a uno specifico corso della facoltà di Architettura, sembra invece smentire palesemente la prima ipotesi. Indubbiamente una contraddizione. Ma volutamente contraddittorio è l’intero contenuto del testo: un artifizio che l’autore utilizza per suscitare interrogativi e stimolare una autonoma lettura critica di eventi, personaggi e manufatti. Un testo quindi anomalo per un accademico, un testo che l’autore non vuol definire ‘saggio’ ma piuttosto ‘racconto’ o ‘antologia di racconti’ e che, come si legge nell’introduzione, «[…] è, per lo più, frutto di interpretazioni personali, di personali riflessioni, a volte anche dichiaratamente faziose, spesso poco confortate da giudizi criticamente accettati e, qualche volta, palesemente provocatorie ». Un testo che sia più propenso a «[…] sollecitare che a informare, più propenso a incoraggiare la libertà di giudizio che la conoscenza dei giudizi codificati». Di questo racconto, in una visione convintamente animistica, sono protagonisti i materiali e i manufatti che da loro acquisiscono consistenza. Sono attori a volte bizzarri e indubbiamente dotati di forte e cogente personalità ma se la regia, identificabile nel Progetto, si dimostra con loro sensibile e capace di apprezzarne i pregi e perdonarne i difetti, è allora facile stabilire un buon rapporto di amicizia e collaborazione, piuttosto che di asettico utilizzo.